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Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
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H.E.1 - (DATA DI EFFICACIA DELLA CESSAZIONE DEI SINDACI - 1° pubbl. 9/06 - motivato 9/11)
La cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito (art. 2400, comma 1, c.c.).
In tutti gli altri casi: morte, rinunzia o decadenza, la cessazione ha effetto imme-diato, anche nell’ipotesi che con i sindaci supplenti non si completi il collegio sindacale.
È sempre possibile per uno o per tutti i sindaci in regime di prorogatio per sca-denza del termine rinunciare alla carica, rendendo quindi immediatamente effi-cace la propria cessazione.
Qualora l’organo di controllo diventi incompleto e non sia possibile ricostituirlo integralmente, per incapacità dell’assemblea o per non reperibilità di sindaci di-sposti ad accettare l’incarico, la società si scioglie.

Motivazione
Prima della riforma del diritto societario il codice civile si limitava a prevedere le varie ipotesi di cessazione dei sindaci dal loro ufficio - de-correnza del triennio di nomina, morte, rinunzia, decadenza e revoca - ma nulla disponeva circa la determinazione del momento in cui, una volta verificatasi una causa di cessazione, i sindaci avrebbero perso la loro qualifica.
Tale lacuna normativa non ha ovviamente generato alcun dubbio sul fatto che la revoca e la decadenza, oltre che la morte, fossero cause di cessazione immediata dei sindaci.
Dubbi invece erano sorti in ordine alla possibilità di applicare in via analogica ai sindaci scaduti per decorrenza del triennio e a quelli rinun-zianti il regime della prorogatio previsto per gli amministratori in dette ipotesi dall’art. 2385 c.c.
Sulla questione è opportunamente intervenuto il legislatore della ri-forma introducendo nel comma 1 dell’art. 2400 c.c. la previsione espres-sa in base alla quale la cessazione dei sindaci per scadenza del triennio ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito.
Nessun regime di prorogatio è stato dunque previsto in relazione alla cessazione dei sindaci per rinunzia. Detta fattispecie continua pertanto ad essere disciplinata dalle sole norme sulla sostituzione contenute nell’art. 2401 c.c.
La circostanza che per i sindaci sia stata introdotta nel nostro diritto positivo solo una delle due distinte ipotesi di prorogatio già previste dall’art. 2385 c.c. per gli amministratori, unitamente al fatto che la ri-nunzia dei sindaci continui ad essere disciplinata in maniera uniforme rispetto alle altre ipotesi di cessazione dei medesimi che sicuramente non danno luogo a prorogatio (la morte e la decadenza), è l’evidente ma-nifestazione della volontà del legislatore di escludere tale istituto in tutti i casi in cui i sindaci si dimettano dal loro incarico. Ciò anche nell’ipotesi in cui, a seguito della rinunzia di uno, di alcuni o di tutti i sindaci, si verifichi una vacatio parziale o totale dell’organo di controllo interno.
Il convincimento che non sia possibile ritenere applicabile il regime della prorogatio ai sindaci rinunzianti è anche rafforzato dall’analisi si-stematica delle norme che attualmente disciplinano la loro cessazione e sostituzione.
Da detta analisi emerge come il legislatore non abbia inteso prevede-re un obbligo di permanenza in carica dei sindaci contro la loro volontà, in deroga al principio generale dell’ordinamento secondo il quale le pre-stazioni di lavoro o d’opera non sono coercibili.
Tale principio è esplicitato nelle norme che riconoscono a tutti i mandatari (art. 1727 c.c.), prestatori d’opera (art. 2237 c.c.) e lavoratori in genere (art. 2118 c.c.) il diritto inalienabile di recedere dagli obblighi contrattuali assunti nei confronti dei loro mandanti, committenti o da-tori di lavoro.
In tal senso è anche senz’altro impostata la nuova previsione dell’art. 2400 c.c. che limita l’applicazione dell’istituto della prorogatio ai soli sin-daci cessati per scadenza del termine.
In tale ipotesi infatti, non avendo i sindaci manifestato alcuna volon-tà espressa di cessare dall’incarico, ma subendo i medesimi lo spirare del termine del mandato, non sussiste alcuna coercizione di volontà. Al contrario si favorisce quella presunta di permanere nelle funzioni anche in prospettiva di un loro eventuale rinnovo per un ulteriore triennio.
Incompatibile con l’applicazione analogica ai sindaci dimissionari del regime della prorogatio è anche l’istituzione dei sindaci supplenti. Ta-le meccanismo di sostituzione dei sindaci dimissionari può infatti fun-zionare solo se le dimissioni hanno efficacia immediata.
Ritenere poi che il regime della prorogatio dei sindaci dimissionari possa trovare applicazione nella sola ipotesi in cui non vi siano sindaci supplenti disponibili per la sostituzione immediata (evidentemente a causa di precedenti sostituzioni) sarebbe iniquo e distorsivo del sistema.
La stessa giurisprudenza, che in vigenza della previgente normativa aveva ritenuto applicabile il regime della prorogatio al collegio sindacale, si è trovata in grave imbarazzo nel conciliare tale regime con l’esistenza dei sindaci supplenti e con la previsione contenuta nell’art. 2401, com-ma 1, c.c. della loro permanenza in carica fino alla “prossima” assem-blea.
Ad esempio, il Tribunale di Roma ha affermato nella sentenza 27 aprile 1998 che in caso di rinunzia dei sindaci effettivi subentrano i sup-plenti, ma se anche questi a loro volta rinunziano al mandato ritornano in carica i sindaci effettivi, primi rinunzianti, in regime di prorogatio.
Non sono peraltro mancate, sempre in epoca anteriore alla riforma, sentenze - come quella del Tribunale di Monza del 26 aprile 2001 - che hanno ribadito la non applicabilità del regime della prorogatio ai sindaci rinunzianti.
È evidente che la non omogeneità dei pronunciamenti giurispruden-ziali dipende anche dalla circostanza che i giudici hanno tentato di ren-dere giustizia nei casi concreti.
Inconciliabile con l’applicazione del regime della prorogatio ai sindaci rinunzianti appare anche la circostanza che non esistono meccanismi normativi che consentano di addivenire ad una loro sostituzione nell’ipotesi in cui siano esauriti i sindaci supplenti e l’assemblea non possa o non voglia sostituirli.
In tal caso i sindaci ultimi dimissionari rimarrebbero in carica a tem-po indeterminato, contro la loro volontà, e indipendentemente dal fatto che ricorra una giusta causa di dimissioni (quale ad esempio una malat-tia, l’età avanzata, il trasferimento in luogo distante, la mancata corre-sponsione dei compensi, il legittimo desiderio di non essere coinvolti in una cattiva gestione pur adempiendo ai propri obblighi di vigilanza).
Tale conclusione appare talmente paradossale da smentirsi da sola, concretizzando di fatto una disapplicazione del diritto alle dimissioni.
Tanto più che le “vittime” di un tale sistema non sarebbero tutti i sindaci, ma solo quelli meno veloci a dimettersi.
La giurisprudenza anteriore alla riforma del diritto societario aveva tentato di affermare, a fondamento della legittimità dell’applicazione analogica ai sindaci del regime della prorogatio dettato per gli ammini-stratori, il principio in base al quale agli organi sociali previsti dalla leg-ge deve essere garantito il funzionamento senza soluzione di continuità (v. per tutte Cass. 11 dicembre 1979, n. 6454, in Foro it. rep., 1979, n. 4438); principio che veniva ricavato dall’unica disposizione all’epoca esistente in materia, ovvero dall’art. 2385 c.c.
In contrario si può osservare come sia nella fisiologia del sistema che in tutti i casi di sostituzione dei sindaci per motivi diversi dalla scaden-za del termine si verifichi una soluzione di continuità del funzionamen-to in composizione integrale dell’organo di controllo (il sindaco sup-plente entra infatti in carica solo alla conoscenza legale della cessazione del suo sostituito, mentre il nuovo nominato con l’accettazione dell’incarico).
Bisogna poi sottolineare come sia sempre esistita una certa difficoltà nell’individuare in concreto quale fosse l’interesse, necessariamente so-vraordinato rispetto a quello dei singoli componenti gli organi sociali rinunzianti, che l’ordinamento avrebbe inteso tutelare nell’ipotesi in cui fosse in esso contemplato un principio di garanzia di continuità di fun-zionamento degli organi sociali, anche nel caso in cui i soci non voglia-no sostituire i componenti rinunzianti.
L’interesse alla continuazione degli organi sociali in generale appare infatti coincidente con quello della società a proseguire la propria attivi-tà economica e quindi, in ultima analisi, con quello egoistico dei suoi soci di ricavare un utile.
I terzi che hanno rapporti con la società (fornitori, banche, clienti, dipendenti) più che essere interessati alla continuazione dell’attività in presenza di situazioni patologiche che non consentano la sostituzione dei componenti gli organi sociali rinunzianti, sono interessati a che la medesima società adempia alle proprie obbligazioni.
Tale autonomo interesse trova tutela nell’ordinamento con la norma-tiva specifica in materia e poco ha a che fare con la permanenza forzata in carica dei componenti gli organi sociali.
È poi senz’altro vero che il collegio sindacale, a differenza dell’organo gestorio, nell’espletare le sue funzioni tutela indirettamente anche gli interessi dei terzi e, più in generale, della collettività.
Bisogna però ricordare che la norma sulla prorogatio, all’epoca in cui si è formata la giurisprudenza che sosteneva l’esistenza nell’ordinamento di un principio di garanzia di continuità degli organi sociali, era dettata esclusivamente per gli amministratori e non anche per i sindaci.
Elaborare quindi un principio generale ricavando l’interesse tutelato dalla disciplina di un organo sociale - il collegio sindacale - e la disposi-zione che intende tutelare tale interesse dalla disciplina di un altro orga-no sociale - il consiglio di amministrazione - appare contrario alle regole ermeneutiche imposte dall’art. 12 delle preleggi. Tale elaborazione deve pertanto essere respinta.
La mancanza nell’ordinamento di un principio di garanzia di conti-nuità di funzionamento degli organi sociali è anche smentito dalle nor-me sulla decadenza dei sindaci (artt. 2404, comma 2 e 2405, comma 2, c.c.) che legittimano la cessazione immediata anche di tutti i sindaci, con conseguente vacatio dell’organo di controllo, nell’ipotesi di assenze ingiustificate alle riunioni degli organi sociali.
L’inesistenza nel nostro ordinamento di un principio in base al quale agli organi sociali previsti dalla legge deve essere garantito il funziona-mento senza soluzione di continuità è stata oggi confermata anche dal legislatore con riferimento al revisore legale.
L’art. 13, comma 6, del D.Lgs. n. 39/2010 (disciplinante la revisione legale) prevede, infatti, che i revisori dimissionari cessino irrimediabil-mente dalle loro funzioni, anche in ipotesi di mancata ricostituzione dell’organo di controllo dei conti, decorsi sei mesi dalla data delle loro dimissioni.
Si segnala che successivamente alla pubblicazione dell’orientamento in commento (2006) diversi Tribunali e Giudici del Registro Imprese hanno condiviso il principio in esso contenuto (si veda in particolare Trib. Napoli 15 ottobre 2009; Giudice R.I. Milano 42/2010; Giudice R.I. Treviso 197/2011).

H.E.2 - (CESSAZIONE DEL COLLEGIO SINDACALE - NON APPLICAZIONE DEL DISPO-STO DELL'ART. 2400, COMMA 2, C.C. - 1° pubbl. 9/06)
Posto che la deliberazione di adozione del diverso sistema di amministrazione e controllo (dualistico o monistico) integra una causa sui generis di cessazione an-ticipata dei componenti degli organi di controllo, non assimilabile alla loro revo-ca, si ritiene che in detta ipotesi non trovi applicazione il disposto dell’art. 2400, comma 2, c.c. che subordina la revoca dei sindaci alla preventiva approvazione del tribunale.

H.E.3 - (VERBALIZZAZIONE DELLA COMUNICAZIONE ALL’ASSEMBLEA, AL MO-MENTO DELLA NOMINA DEI SINDACI, DEGLI INCARICHI DI AMMINISTRAZIONE E DI CONTROLLO DA ESSI RICOPERTI PRESSO ALTRE SOCIETÀ - 1° pubbl. 9/07)
La comunicazione che deve essere data all’assemblea, al momento della nomina dei sindaci, degli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2400 c.c., non deve ob-bligatoriamente risultare dal verbale di detta assemblea.
È comunque preferibile che il verbale dia conto dell’espletamento di tale obbligo di informazione, utilizzando anche formule sintetiche che non contengano la ri-produzione analitica dell’eventuale elencazione degli incarichi resi noti all’assemblea.

H.E.4 – (VARIAZIONE DEL SISTEMA DI GOVERNANCE – PASSAGGIO DAL SISTEMA TRADIZIONALE A QUELLO MONISTICO - CLAUSOLA STATUTARIA SUL CONTROLLO CONTABILE EX ART. 2409 BIS, COMMA 3, C.C. – INCOMPATIBILITÀ AUTOMATICA – 1° pubbl. 9/07)
Con il passaggio al sistema di amministrazione e controllo “monistico” dal siste-ma tradizionale (c.d. “ordinario”) di società per azioni il cui statuto, conforme-mente all'art. 2409 bis, comma 3, c.c., rimetta il controllo contabile al Collegio Sindacale, interviene una situazione di incompatibilità assoluta ed automatica, dal momento che nelle società per azioni di tipo monistico il controllo contabile è inderogabilmente demandato ad un revisore contabile o ad una società di re-visione (l'art. 2409 noviesdecies c.c. rinvia ai commi 1 e 2 dell'art. 2409 bis c.c. e non già invece al comma 3).
Ne consegue:
a) che il Collegio Sindacale cessa - pur sempre a far data dal momento in cui la variazione di sistema avrà effetto (art. 2380, comma 2, c.c.) – senza che ciò com-porti “revoca” ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2400 c.c.;
b) che l'assemblea dei soci, all'atto della delibera di variazione del sistema di amministrazione e controllo potrà, ricorrendo tutti i presupposti all'uopo fissati dall'art. 2409 quater c.c., conferire l'incarico del controllo contabile al reviso-re/società di revisione ovvero demandare tale decisione di conferimento dell'in-carico ad una successiva assemblea ordinaria.

H.E.5 – (VARIAZIONE DEL SISTEMA DI GOVERNANCE – PASSAGGIO DAL SISTEMA MONISTICO A QUELLO TRADIZIONALE – CONTROLLO CONTABILE – INCOMPATI-BILITÀ AUTOMATICA – ESCLUSIONE – 1° pubbl. 9/07)
Con il passaggio dal sistema di amministrazione e controllo monistico al sistema tradizionale (od “ordinario”) di società per azioni il cui statuto, recependo l'art. 2409 bis, commi 1 e 2, c.c., rimetta il controllo contabile ad un revisore o ad una società di revisione, non interviene alcuna situazione di incompatibilità assoluta ed automatica del revisore in carica, dal momento che sia nelle società per azio-ni di tipo monistico che in quelle tradizionali il controllo contabile è normativa-mente demandato ad un revisore contabile o ad una società di revisione (invero la regola di sistema è la medesima: l'art. 2409 bis, comma 1, c.c., richiamato dall'art. 2409 noviesdecies c.c. per il monistico).
Ne consegue che, ove in conseguenza della variazione del sistema di governance la società per azioni intenda rimettere il controllo contabile al Collegio Sindacale - nel presupposto che sussistano tutti i requisiti di cui all'art. 2409 bis, comma 3, c.c. - l'assemblea dei soci, all'atto della delibera di variazione del sistema di am-ministrazione e controllo, dovrà modificare in tal senso lo statuto sociale.
Tale modifica statutaria – perfettamente aderente al dettato normativo – non costituisce “revoca” dell'incarico ai sensi e per gli effetti dell'art. 2409 quater c.c.