:: venerdì 19 aprile 2024  ore 10:38
Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie - Orientamenti Societari, Commesione Società
H.F. SPA - Modifiche dell'atto costitutivo in generale > SPA - Modifiche dell'atto costitutivo
H.F.1 - (ALLEGAZIONE DELLO STATUTO AGGIORNATO AL VERBALE DI MODIFICA - 1° pubbl. 9/04)
Ai sensi del comma 6 dell’art. 2436 c.c., il testo integrale dello statuto, nella sua redazione aggiornata, non costituisce un allegato obbligatorio del verbale che recepisce la modifica, bensì un allegato obbligatorio al deposito nel registro im-prese di detto verbale. È comunque opportuno che detto testo integrale dello statuto aggiornato sia allegato al verbale.

H.F.2 - (ESEGUIBILITÀ DELLE DELIBERE NON ISCRITTE - 1° pubbl. 9/04)
Le decisioni di modifica dello statuto sono sottoposte, ai sensi dell’art. 2436, comma 5, c.c., alla condizione sospensiva di efficacia della loro iscrizione nel re-gistro delle imprese.
È quindi possibile, pendente la condizione sospensiva, ai sensi dell’art. 1357 c.c.:
a) adottare, anche non nella stessa assemblea, ulteriori delibere connesse o di-pendenti da quella o da quelle ancora sospese (cosiddette “delibere a cascata”);
b) dare esecuzione alle delibere ancora inefficaci (ad esempio sottoscrivere un aumento di capitale contestualmente alla delibera che lo adotta);
c) adottare delibere da parte di altri organi sociali in forza di poteri attribuiti dal-lo statuto in virtù di una delibera modificativa non ancora iscritta.
In tutti questi casi gli atti ulteriori: connessi, dipendenti o esecutivi di delibere non ancora efficaci, sono a loro volta sottoposti alla medesima condizione di ef-ficacia dell’atto da cui traggono legittimazione.

H.F.3 - (MODIFICA DELLA DURATA DELL’ESERCIZIO SOCIALE - 1° pubbl. 9/04 – motivato 9/11)
È possibile modificare la data di chiusura dell’esercizio sociale a condizione che al fine di portare a regime tale modifica non sia previsto un esercizio ultrannua-le.
Non sembra possibile adottare una delibera che riduca la durata di un esercizio sociale già chiuso, anche se il relativo bilancio non è stato ancora predisposto e approvato.

Motivazione
Come già ricordato in sede di commento dell’orientamento A.A.7, la “regola” che si può ricavare dal sistema (in particolare dalle norme in tema di bilancio) è che la durata di un esercizio sociale deve essere inde-rogabilmente di dodici mesi.
Tale regola non può tuttavia essere rispettata per il primo esercizio sociale e per quello in corso alla data in cui si modifichi la previsione statutaria della scadenza degli esercizi sociali.
In entrambe le suddette ipotesi sarà infatti necessario prevedere un esercizio di durata diversa dall’anno, per consentire l’entrata a regime della scadenza statutaria, originaria o modificata.
In totale assenza di una disciplina positiva che consenta di risolvere la questione di come e in che misura sia lecito derogare alla regola dell’annualità quando ciò sia imprescindibile, è stata ritenuta non con-traria ai principi, per l’ipotesi del primo esercizio sociale, la regola in base alla quale è possibile prevedere, oltre ad una durata infrannuale, anche una durata ultrannuale, purché non eccedente i quindici mesi (vedi motivazione all’orientamento A.A.7).
La deroga in aumento, rispetto all’annualità, non è apparsa invece ammissibile nel caso di modifica della data di scadenza dell’esercizio sociale di una società già operante.
Nella società di nuova costituzione, infatti, l’esigenza, di ordine pub-blico, di informare annualmente i soci, i creditori, gli investitori e gli al-tri terzi in genere, circa la reale situazione patrimoniale, economica e fi-nanziaria della società ed il risultato economico di esercizio (art. 2423, comma 2, c.c.) al fine, anche, di confrontarli con quelli degli esercizi precedenti, appare assai attenuata.
Il primo esercizio sociale è per sua natura non confrontabile con quelli successivi, in quanto reca le spese di impianto, anche se ammor-tizzate ai sensi del n. 5) dell’art. 2426 c.c., e subisce le dinamiche eco-nomiche della fase di avvio dell’attività di impresa.
In una società a regime ciò non accade.
Non appare quindi giustificabile una deroga all’obbligo di informa-zione annuale attuato tramite la redazione e pubblicità del bilancio di esercizio.
Anche perché tale deroga non dipenderebbe dalla casualità della data di costituzione della società, ma da una precisa volontà dei soci in tal senso.
Pertanto, nel caso di delibera portante la modifica della data di sca-denza dell’esercizio sociale, si dovrà necessariamente prevedere un esercizio infrannuale al fine di portare a regime la modifica deliberata.
Ad esempio se il 30 aprile viene deliberata la modifica della scadenza dell’esercizio sociale, per portarla dal 31 dicembre al 30 giugno di ogni anno, si dovrà prevedere che l’esercizio in corso di chiuderà il 30 giugno dell’anno corrente (e quindi avrà una durata di sei mesi) mentre l’esercizio successivo andrà dal 1 luglio dell’anno corrente al 30 giugno dell’anno successivo (riprendendo la durata di dodici mesi).
Sempre in relazione alle delibere comportanti la modifica della data di scadenza dell’esercizio sociale, si è ritenuto non ammissibile l’adozione di una delibera che riduca la durata di un esercizio sociale già chiuso, anche se il relativo bilancio non è stato ancora predisposto e approvato, perché con decisione dei soci si modificherebbero i tempi concessi dalla legge agli amministratori e ai sindaci per compiere gli adempimenti relativi alla redazione e presentazione del bilancio.
Non appare, inoltre, conforme ai principi consentire ai soci di adot-tare una decisione idonea ad alterare le risultanze di bilancio una volta che gli stessi siano consapevoli del risultato di esercizio.
Da un punto di vista dogmatico si tratterebbe poi di una modifica dello statuto con efficacia “retroattiva”, anteriore alla sua iscrizione nel registro imprese, dunque non conforme ai principi del diritto delle socie-tà, in particolare al disposto del comma 5 dell’art. 2436 c.c.
La nuova regola statutaria disciplinerebbe infatti una vicenda verifi-catasi, e conclusasi, anteriormente alla sua entrata in vigore.

H.F.4 - (MODIFICHE STATUTARIE DI CLAUSOLE CHE PREVEDONO QUORUM RAF-FORZATI – 1° pubbl. 9/16 – motivato 9/17)
Si ritiene che qualora in uno statuto sociale vi sia una clausola che preveda un quorum deliberativo rinforzato per l’assunzione di una determinata deliberazio-ne assembleare, tale clausola non possa essere modificata con il quorum previ-sto in generale per le deliberazioni modificative dello statuto sociale.
Per la valida modifica di clausole che prevedono quorum deliberativi rinforzati occorrono i medesimi quorum rinforzati previsti da dette clausole.
La regola esposta trova applicazione tutte le volte che nello statuto non sia con-tenuta una diversa previsione, anche in assenza di una espressa clausola di sal-vaguardia.
Se, diversamente, fosse consentito alla medesima maggioranza cui è inibito di adottare determinate delibere di rimuovere il divieto alla loro adozione, si ren-derebbe priva di effetto la clausola che introduce i quorum rinforzati, in viola-zione della regola ermeneutica contenuta nell’art. 1367 c.c.

Motivazione
L’orientamento si pone l’obiettivo di fornire una risposta al problema interpretativo di quale sia il quorum necessario per modificare una clau-sola statutaria di maggioranza rafforzata.
È ben possibile, infatti, che differenti maggioranze siano stabilite dal-lo statuto a seconda dell’oggetto della deliberazione ed è anzi probabile che i soci, in sede di redazione dell’atto costitutivo, abbiano sentito l’esigenza di prevedere regimi più rigorosi solo con riferimento ad alcu-ni elementi dello stesso, lasciando la possibilità della modificazione del-le altre previsioni statutarie al raggiungimento delle maggioranze di leg-ge (o, addirittura, di maggioranze statutarie fissate in misure inferiori).
Si ipotizzi, ad esempio, che lo statuto richieda la maggioranza del 60% del capitale per deliberare su alcuni argomenti (poniamo: aumento capitale sociale, modifica della denominazione, approvazione del bilan-cio, ecc.) e nulla preveda in merito alla modifica di tale clausola: il pre-visto quorum rafforzato riguarda solo le delibere aventi per oggetto gli argomenti espressamente indicati o si deve applicare anche alla delibe-razione avente ad oggetto la modifica di tale previsione?
La questione è stata ampiamente (forse eccessivamente) dibattuta: una prima posizione, che riconosce la legittimità di una modifica se-condo le normali maggioranze, si basa sul principio generale che disci-plina la materia: tutte le modifiche statutarie si assumono con le mag-gioranze indicate dallo statuto o dalla legge, salvo specifiche clausole di protezione o di salvaguardia; una diversa posizione, invece, che ritiene necessaria per la modifica di quorum rafforzati una simmetrica maggio-ranza qualificata, si basa sui princìpi in materia di interpretazione dei contratti (cfr. Trib. Napoli 15 aprile 1981 “quando vi è una clausola sta-tutaria che per date delibere prevede una maggioranza rinforzata, lo sta-tuto deve interpretarsi nel senso che anche le deliberazioni modificative di tale clausola siano rette dalla stessa maggioranza rinforzata”, altri-menti “lo svuotamento del contenuto della stessa [clausola] appare chiaramente dalla conseguenza che, a superare l'ostacolo, sarebbero suf-ficienti due deliberazioni successive a maggioranza ordinaria ...”).
Il quorum qualificato, sulla base del mero dato letterale, sembrerebbe richiesto solo per le modifiche riguardanti le materie espressamente in-dicate e, quindi, protette e non anche per le altre modifiche statutarie, fra cui quelle inerenti alla norma statutaria in cui tale previsione è con-tenuta. Ciò ha indotto parte della giurisprudenza, sia in anni non recen-tissimi (ad esempio Corte App. Napoli, sent. 8 luglio 1982, Trib. Mila-no, sent. 2 ottobre 1989, Trib. Udine, ord. 21 ottobre 1998) sia in tempi più recenti, anche dopo la riforma, ad affermare che la clausola statuta-ria con la quale si prevede la maggioranza rafforzata per la approvazio-ne di una specifica modificazione statutaria, può essere modificata, in assenza di una specifica disciplina statutaria, con le ordinarie maggio-ranze (di legge o di statuto) previste per ogni altra modificazione statu-taria (cfr. Trib. Reggio Emilia sent. 2 dicembre 2005 “la clausola che stabilisce maggioranze ultra qualificate è norma eccezionale rispetto al principio delle maggioranze assembleari sancito dalla legge e, in quanto tale, non può essere suscettibile, in generale, di interpretazione estensiva o analogica …” “Né vale osservare che le finalità della clausola di sal-vaguardia verrebbero vanificate ove si ammettesse la sua modifica a maggioranza ordinaria”).
Probabilmente preoccupata di tale impostazione e dell’incertezza sul punto, la pratica e la dottrina, anche di matrice notarile, hanno spesso consigliato di introdurre una “clausola di salvaguardia” (o di protezione della clausola di salvaguardia), ossia una previsione statutaria che ri-chieda per la modifica di quorum rafforzati per determinati argomenti quorum equivalenti: “Solo prevedendo la stessa maggioranza qualifica-ta anche per le deliberazioni di modificazione della clausola che preveda i quorum rafforzati si potrà dare piena e sicura attuazione alle intenzio-ni dei soci fondatori, i quali nella maggior parte dei casi intendono im-pedire che nel corso del rapporto societario quella clausola speciale che richiede un quorum rafforzato per una determinata modifica sia modifi-cato a maggioranza non rafforzata” (C.A. Busi, I quorum assembleari del-la s.r.l. e la loro derogabilità, Studio CNN 119-2011/I; nello stesso senso A. Bertolotti, Le modificazioni dell’atto costitutivo. I titoli di debito, in G. Cottino e altri (a cura di), Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giu-risprudenza: 2003-2009, Bologna, 2009, 1030 s., che raccomanda di non dimenticare di prevedere di rafforzare “i quorum necessari per delibera-re la modificazione di clausole che... impongano quorum particolari in relazione a specifiche modificazioni dell’atto costitutivo”). E ci si po-trebbe chiedere se equipollente possa essere la previsione che la clausola a quorum rafforzato possa essere modificata a maggioranza non raffor-zata ma con attribuzione del diritto di recesso (nella S.p.A. ai sensi dell’art. 2437, comma 1, lett. g, c.c.) ai soci che non hanno concorso alla decisione.
Ma appiattirsi sul mero dato letterale non appare soddisfacente; anzi tale prospettiva non appare corretta né giuridicamente in quanto propo-ne una interpretazione formalistica che è contraria al principio di con-servazione di cui all’art. 1367 c.c. e pure al canone di interpretazione di buona fede (art. 1366 c.c.); né, tanto meno, logicamente, posto che l’argomento che dovrebbe sostenerla è quello secondo cui se i soci aves-sero voluto, ben avrebbero potuto “blindare”, oltre alla clausola effetti-vamente “blindata”, anche quella che la “blinda”: “ma questa è all’evidenza una illusione ottica” Una soluzione di quel tipo è una solu-zione che ignora una regola della logica: quella per cui una proposizio-ne non può riferirsi a se stessa. E se una proposizione non può riferirsi a se stessa, anche una norma non può farlo (illuminante in tal senso M. Stella Richter jr, Considerazioni generali in tema di modificazione dell’atto co-stitutivo di società a responsabilità limitata, Scritti in onore di Marcello Fo-schini, e, pure, dello stesso Autore, Può una norma statutaria riferirsi a se stessa?, in Corr. Giur., 7/2016, 964 ss., che suggestivamente assimila la questione a quella relativa al regime di modificabilità dell’art. 139 della Costituzione, della norma che cioè prevede la immodificabilità della forma di Stato repubblicana).
Si osserva che l’applicazione agli statuti societari delle norme in ma-teria di interpretazione dei contratti (ma non tutte) è principio condivi-so. Ma tra le norme interpretative non si ritiene possa essere applicata, e anche fosse applicabile sarebbe inutile, quella che si riferisce alla “co-mune intenzione delle parti” (art. 1362 c.c.); si dubita, infatti, che i con-tratti plurilaterali con comunione di scopo (che peraltro in materia di società di capitali possono originare anche da un atto costitutivo unila-terale) possano essere interpretati con il criterio della “comune inten-zione delle parti”, dettato per esigenze di regolazione dei contratti bila-terali sinallagmatici; lo statuto societario si caratterizza infatti come fonte negoziale tendenzialmente durevole, destinata a trovare applica-zione anche nei confronti di parti che possono variare rispetto a quelle originarie (specie nelle S.p.A., a ragione della normale libera trasferibili-tà delle partecipazioni), e peraltro la conclusione del procedimento as-sembleare resta in ogni caso governata dal principio maggioritario.
Con innovativa sentenza, che non ha precedenti in sede di giudizio di legittimità, è intervenuta di recente la Suprema Corte risolvendo la que-stione di cui si tratta, valorizzando lo scopo pratico perseguito dalle parti secondo la loro comune intenzione e invocando i criteri di inter-pretazione funzionale (cioè quello di cui all’art. 1369 c.c.) e di buona fe-de (art. 1366 c.c.): “ed, infatti, proprio alla stregua del fondamentale cri-terio di buona fede, illuminato dal rilievo della comune intenzione delle parti, appare intrinsecamente contraddittorio, in presenza di una clauso-la statutaria finalizzata a garantire, con riferimento a determinate mate-rie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata, contempo-raneamente consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione che tale potere attribuisce” (Cass. Sentenza n. 4967 del 14 marzo 2016). In altre parole, secondo la prima pronuncia in merito della Cassazione, salva una non equivoca diversa volontà nego-ziale, una clausola che protegga la minoranza richiedendo una maggio-ranza rafforzata per le delibere aventi ad oggetto gli argomenti concer-nenti determinate materie non può essere modificata da una maggio-ranza più limitata.
Detta pronuncia è allineata all’orientamento della giurisprudenza re-cente che tende a valorizzare massimamente il principio della buona fe-de come regola di condotta da seguire nelle varie fasi della vicenda con-trattuale e dunque anche in quella di interpretazione del contratto me-desimo.
Le conclusioni a cui giunge la decisione sono apprezzabili, e merito-ria l’essenza di tale decisione anche nella parte in cui costituisce guida (e correzione) alla diversa giurisprudenza di merito; ma si ritiene che ol-tre al canone di interpretazione di buona fede, il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 c.c., quello cioè che fa leva sul principio di con-servazione del contratto, sia il più idoneo a risolvere la questione.